Mio padre era un cuoco di bordo, un marittimo, un uomo che nella mia infanzia ho visto pochissimo. S’imbarcava su vecchie carrette del mare da venti persone d’equipaggio, per infornare poco pane o forse, perché lì si sentiva un po’ come a casa.
Ha visto caricare di tutto per conto di stravaganti armatori e ha battuto ogni mare del mondo, fino a guadagnarsi la medaglia d’oro per lunga navigazione, che ora è appesa dietro di me.
Chissà se nel frattempo quel contadino di vigna e ulivo, sradicato dalla terra all’acqua, avrà mai cantato durante i suoi interminabili viaggi di mare. Ma mia madre sì.
Soprano naturale, aveva il suo regno in chiesa le domeniche mattina e nelle sere dei vespri, ma era ai fornelli che la sua voce intensa si liberava colorando quella piccola cucina.
Credo che la mia voglia di scriver e cantar canzoni sia arrivata da questa umile famiglia, da una matriarca padrona di casa e da un padre invisibile che appariva d’incanto nel burro, nel caffè, in quella valigia piena di stracci, latte condensato, cioccolate e qualche liquore di bordo, nei ricordi di mare di un padre che non vedevo, ma che ne avvertivo la presenza nelle parole di lei, in quel suo bel canto, in quella tela che come Penelope tesseva nell'attesa del suo Ulisse.